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giovedì 10 aprile 2014

Ricerca personale

L'idea mi è venuta mentre andavo a caccia di un nuovo lavoro, visto che l'attuale mi dà le stesse soddisfazioni di un rubinetto che gocciola in una notte insonne, e lo facevo navigando in internet alla ricerca concorso, che di certo non vincerò, ma almeno conquisto un giorno di tregua.

Perciò posiziono il cursore a strascico per pescare dalle "pagine concorsi" di vari enti.

Ho tralasciato deliberatamente quelli per l'agenzia spaziale dove cercano solo ingegneri, qualifica che non ho conquistato a suo tempo, come voleva mio padre e il cervellino pure faceva il suo porco lavoro, figurarsi oggi, che sono un'attempata giornalista, anche se trasferita d'imperio all'archivio del mio ente, ma pur sempre una giornalista. Date le premesse opterei per un qualche incarico tipo dirigente delle comunicazione, ben consapevole che per questo mestiere, alla faccia delle leggi, occorre solo essere cooptati. 

Così in pieno surfing trovo un bando dell'Istituto superiore della sanità che assume un collaboratore per una ricerca dall'esplicito titolo “Studio dei metodi per l’individuazione della presenza di residui di dispositivi medici nel corpo umano a seguito di interventi chirurgici”.

Ora io vorrei richiamare l'attenzione non tanto sui requisiti per partecipare al bando, tanto la solfa è sempre la stessa: cercano un astronauta e lo pagamo come un impiegato di concetto, forse anche meno, quanto sul titolo stesso della ricerca: "Studio dei metodi per l’individuazione della presenza di residui di dispositivi medici nel corpo umano a seguito di interventi chirurgici”.

Vediamo se ho capito bene: occorre scoprire uno o più metodi, speriamo infallibili, che permettano  all'equipe medica, stremata da un intervento sul grande addome, se nella fretta di richiudere il paziente non abbia lasciato un paio di forbici nella fossa iliaca, offrendo così al malcapitato l'impareggiabile opportunità di finire al Creatore, ma solo dopo settimane passate a contorcersi come un verme per i dolori. E magari evitare la consueta denuncia per errore medico che fa lievitare il premio assicurativo delle strutture pubbliche, private e accreditate.

Sono situazioni che uno, dall'esterno, non immagina neanche. Funziona più o meno così: in sala operatoria arriva il cristiano intimorito, tutti gli sorridono. Lo preparano mettendogli una cuffietta, coprendolo con materiale sterile e monouso, poi lo assicurano al letto e, sempre sorridendo e con molta calma, gli cercano una vena dove infilano un ago pronto alla bisogna e lo addormentano. A quel punto la vita del personale medico e paramedico cambia tenore e velocità: è tutto un vociare e un raccontarsi vicissitudini e aneddoti, una gara a chi ce l'ha più grosso, o è andato più lontano e/o - diciamolo pure- a chi ha scopato di più. Tutto serve per stemperare la tensione. Intanto il primo chirurgo (quello responsabile dell'intervento) taglia, il secondo, l'aiuto, tiene il divaricatore e aspira il sangue (poco, credeteci non come al cinema), il terzo, lo schiavo o specializzando, tiene i fili, mentre uno strumentista sovraintende a ferri e garze. 

Poi, reciso il pezzo malato, tutto finisce: ago e filo, muscolo, derma, sottocute e cute e si richiude. Non prima di aver contato garze e strumenti. Di solito i conti tornano. 

Ma qualche volta no.

Allora è tutto un alzare telini, spostare lenzuola e rovistare nella spazzatura della sala (vero, c'è un cestino per ogni paziente, ma non siamo in Svizzera)alla ricerca della garzina arrotolata sfuggita alla conta o di altri presidi. 

Intanto il paziente è lì ancora intubato e curarizzato con l'anestesista che bestemmia, mentre il chirurgo si allontana soddisfatto, più per le panzane che ha sparato che per l'esito del lavoro, e cammina  con passo trionfatore verso altri lidi, mentre in sala operatoria si scatena l'inferno per organizzare gli interventi successivi. E della garza neanche l'ombra. 


Allora qualcuno, di solito la caposala, categoria di donna come non se ne trovano tante in  giro, dal carattere inequivocabilmente autoritario, fornita di palle d'acciaio che qualche volta lancia contro medici supponenti riducendoli a un silenzio degno di uno scolaretto d'altri tempi, bene questa matrona d'altri tempi decide di fare una radiografia al paziente a caccia di forme nuove nel corpo umano. Bene, se la lastra restituisce un'ombra bianca con la foggia una pinza, tanto per fare un esempio, siamo inequivocabilmente di fronte a un "residuo di residuo di dispositivo medico". Basta richiamare il chirurgo, rilasciare un'altra dose di curaro, riaprire il paziente, prendersi la pinza e riprendere daccapo la routine: muscolo, sottocute e cute. 

Ma evidentemente di quelle caposala non ce n'è più, oppure no, ma occorre comunque cercare una strada che permetta quantomeno di individuare un metodo, redigere report, creare banche dati, costituire un tavolo di lavoro, condividere esperienze, scambiare buone pratiche, promuovere comportamenti corretti, fissare procedure accreditate, esportare buone prassi, e tutta una serie di belle parole che vanno tanto di moda in questo periodo.

Va da sé che questo post viene pubblicato a ricerca scaduta. Che non vi venga in mente di partecipare. 

lunedì 11 giugno 2012

Ma sono proprio italiana, e anche un po' di più.

Supertitolata, altissimamente professionalizzata e profondamente annoiata: ecco la fotografia della mia situazione lavorativa.

Per dare un colpo di novità alla languida quotidianità che mi accompagna in ufficio non mi rimane che cercare altre strade. Così dopo aver fatto il bilancio delle competenze, verificato che non ho un mentore pronto a scommetere sulla mia personcina, schiacciata come un guscio di noce tra i grandi poteri occulti che manovrano questo paese, decido di presentare domanda per un concorso alla comunità europea.

Esaltata dalla semplicità con cui presenti domanda, c'è un form sul loro sito che ti guida a costruire il curriculum, niente a che vedere con i concorsi pubblici in Italia, mi immagino già negli uffici di Bruxelles a conversare in inglese con colleghi davvero simpaticissimi.

Compilati tutti i campi richiesti, il sistema mi assegna un numero di registrazione e  un account personale sul quale riceverò tutte le comunicazioni. Il messaggio finale è chiaro:  "Controlla il tuo account perchè lì, e solo lì, troverai tutto le info per la selezione".

Questo succedeva ad aprile. Poi le feste di Pasqua mi hanno spinto in Oman a scoprire nuovi mondi e sono tornata certa che 200mila candidati in 27 paesi richiedono una certa organizzazione e anche qualche mese.

Così oggi, spinta dalla consueta noia, ho controllato il mio account. Sorpresa!
Il capo dell'ufficio di selezione del personale, certo Gilles Guillard, mi ha scritto una bella letterina in iglese semplice semplice con la quale mi comunicava che la mia candidatura era stata accettata, che avevo fatto le cose per benino e che non mi rimaneva che prenotare la data della prima selezione, operazione che avrei dovuto eseguire on line dal 14 al 16 aprile ora di Bruxelles, pena l'esclusione dal concorso.  Solo la nascita di un figlio, la morte di un congiunto prossimo, madre, padre, fratello e/ sorella, o ricovero in ospedale poteva costituire un'eccezione alla ferrea regola

Ma come? Il concorso era scaduto il 5 aprile e il 6 questo diligentissimo funzionario già scriveva per confermare candidatura e data delle selezioni? A più di 200mila candidati. Ma che sistema hanno a Bruxelles quando in Italia per un concorso a due posti andiamo avanti almeno due anni.

Bene sono certa che a guardare la posta in ritardo saranno stati prevelentemente italiani. Ora io mi vergogno come una ladra e per tenere alto l'italico onore  ho deciso di dichiarare il falso e di traformare la mia nazionalità da italiana in svedese, tanto per distribuire un po' di fango ache ai paesi del nord, sempre così perfettini.

Noi qui ne abbiamo già abbastanza di verecondia, senza che ci aggiunga la mia.